Lettera al Bangladesh
Caro Bangladesh,
Ti scrivo perchè proprio oggi festeggiamo un mese dal nostro primo incontro.
Mi ricordo esattamente come se fosse ieri il primo abbraccio che ci siamo dati quando io sono arrivata tra le braccia accoglienti di Banchte Shekha, dopo tutto il tempo che avevo passato in viaggio verso di te, incontrarti è stato rigenerante.
Mi sei sembrato subito un tipo generoso: per il mio arrivo avevi allestito paesaggi mozzafiato che si mostravano in tutto il loro verde e lo stesso verde delle tue risaie non si trattiene nel suo splendore ed è così brillante che io ho potuto paragonarlo solo a quello di un evidenziatore, perché prima non avevo mai visto una natura così.
E poi attraverso le grandi mani gentili di Angela Gomez mi hai offerto una varietà di frutti di tutti i colori e di tutte le forme così che io non abbia potuto resistere neanche un secondo al tuo fascino e mi sia riempita di una nuova sensazione di gratitudine che mi avrebbe accompagnata ogni giorno della mia avventura.
Questo è il primo ricordo che ho di te, caro Bangladesh, poi è arrivato il momento di conoscere la tua abbondante umanità. In particolare avevo deciso di avvicinarmi ai bambini che ogni giorno raggiungono il centro di riabilitazione di Banchte Sheka, perché come giovane studentessa di fisioterapia avevo sentito il bisogno di mettere in campo le mie conoscenze e di arricchire il mio bagaglio di nuove e lontane esperienze.
Anche questo incontro si è rivelato in tutta la sua fertilità: ogni giorno al centro di Banchte Shekha arrivano circa trenta bambini, accompagnati dalle loro mamme. Devo confessarti che non mi sarei mai aspettata di dovermi approcciare a così tante persone tutte insieme, ma lo staff dei terapisti capitanati da Kanta non mi ha mai lasciata sola e così è iniziato il nostro lavoro insieme.
La quasi totalità dei bambini che frequentano il centro di riabilitazione sono affetti da PCI (paralisi cerebrale infantile) che, per definizione, consiste in una turba persistente, ma non immutabile della postura e del movimento. Per questo motivo questi bambini necessitano di un trattamento fisioterapico a lungo termine attraverso il quale possano avere l’occasione di ricercare nuovi, e spesso più funzionali, movimenti del loro repertorio motorio.
In Bangladesh putroppo i fisioterapisti non sono così tanti come i bambini che ne avrebbero bisogno e i bambini con PCI sono molti perché questo tipo di problema è generalmente legato a complicanze che si manifestano durante la gravidanza, il parto o nei primissimi anni di vita del bambino che qui sono momenti a cui non vengono rivolte le stesse cure che conosciamo in Italia.
Il tutto è reso più complicato dal peso che ha il concetto di disabilità per il Bangladesh, una barriera imponente con la quale risulta difficile anche solo cercare un confronto. Questo fardello si legge nei visi delle mamme di questi bambini che, in alcuni casi, cercano con tutte le loro forze di combatterlo, altre volte invece lo assecondano fino a lasciarsi schiacciare.
Caro Bangladesh, oltre ad avermi mostrato la faccia della tua sofferenza mi hai anche rivolto dei sorrisi straordinariamente contagiosi; quelli dei bambini che grazie agli aiuti di IDEA e di tante famiglie italiane ora hanno una scuola nel loro villaggio e cantano e ballano orgogliosi nelle loro uniformi.
L’ entusiasmo della gente dei villaggi mi ha travolta, ho assaporato il gusto delle parole delle mamme e dei papà che stanno iniziando a capire il valore dell’educazione , ho ascoltato il dolce suono dei discorsi delle ragazze che raccontavano i loro sogni e non più l’incubo del matrimonio precoce. Il loro grazie è stato un’esplosione così potente che non posso tenere tutto per me, ma vorrei che arrivasse a tutti coloro che anche solo con un pensiero hanno contribuito a farlo nascere e soprattutto a chi, con tanta cura e pazienza, l’ha annaffiato e l’ha fatto crescere e diventare così forte.
L’energia che ho sentito sulla mia pelle è quella di persone che hanno sperimentato che un cambiamento è possibile e io mi auguro che tutti possano continuare ad alimentarsi di questo coraggio. Anche chi, come la comunità di Jogahati, è ancora intrappolato in una povertà paralizzante che li priva dei diritti più umani; nei loro sorrisi timidi all’inaugurazione della nuova scuola ARCOBALENO ho riposto una speranza fortissima.
Caro Bangladesh, questa è la mia lettera per te che sei stato per me un amico attraverso la vivacità delle tue strade piene di persone, di voci squillanti, di campanelli e clacson e un’amica allegra e sensibile come tutte le ragazze che lavorano a Banchte Shekha, che mi hanno abbracciata nei momenti più duri e hanno riso con me in quelli più felici.
Sei stato un maestro perché spesso mi hai messo alla prova e poi perché mi hai appassionato e mi hai insegnato ad amare un’anima così diversa dalla mia. Per me sei come un fratello più piccolo al quale vorrei dare sempre tanti consigli e con il quale a volte mi arrabbio quando noto che sei pieno di risorse, sei una terra così feconda e un popolo esuberante, ma non ti impegni a sfruttare al meglio le tue potenzialità, ma ho imparato che con te ci vuole un po’ di pazienza e poi ci mostri i tuoi risultati.
Per me sei stato una casa e una famiglia attraverso le preziose cure e attenzioni di Shourove, Angela, Margareth , Kanta e tutti quelli che, anche per poco, si sono dedicati a me. Sei sicuramente uno dei regali più belli della mia vita che Andrea, Barbara, Maria e Gabriele hanno voluto offrirmi.
Ti ringrazio per avermi sorpreso ogni giorno con i tuoi maestosi temporali , senza mai però avermi fatto perdere la speranza in un sole che sempre e improvvisamente facevi comparire!
Sofia Bizzarri